Era il 2 marzo 2012 quando l'imprenditore Salvatore S. incontrava, in un negozio di sua proprietà, alcuni soggetti di origine cutrese divenuti poi protagonisti del processo Aemilia: Nicolino e Gianluigi Sarcone, Alfonso Paolini, Pasquale Brescia, Antonio Muto ed altri personaggi, tra cui un noto politico poi uscito indenne dal processo Aemilia (Giuseppe Pagliani). Formalmente, il meeting era stato indetto per decidere l'apertura di un nuovo circolo politico in città. Ma in realtà l'obiettivo degli ndranghetisti presenti all'incontro era decidere come e attraverso chi operare sul piano comunicativo e politico per contrastare le interdittive antimafia del Prefetto De Miro: a questo scopo si pensava di coinvolgere il politico, strumentalizzandone l'azione, per bloccare l'avanzata di un 'fronte legalitario' sul territorio della Provincia di Reggio Emilia.
La strategia non si concretizzò, ma molti dei partecipanti a quell'incontro ebbero, diciamo così, qualche guaio. Nicolino Sarcone è stato condannato a 30 anni in appello, con rito abbreviato, per uno degli omicidi di mafia che hanno insanguinato gli anni '90 a Reggio Emilia e al tempo dell'incontro aveva già passato qualche guaio giudiziario rilevante. Pasquale Brescia è stato condannato a 13 anni in Cassazione per associazione mafiosa; Alfonso Paolini, che teneva i rapporti con gli ambienti politici della città, ha avuto dalla Cassazione 12 anni.
Il costruttore Salvatore S. partecipò a quell'incontro perché chiamato da Gianluigi Sarcone, fratello di Nicolino: “Quel 2 marzo – dichiarò a processo Aemilia lo stesso imprenditore, interrogato come persona informata sui fatti ma non indagato né accusato - mentre ero in ufficio mi telefonò Gianluigi chiedendomi se potevo scendere che così mi avrebbe presentato Pagliani. Gli risposi che ero occupato e sarei andato più tardi. Mi ritelefonò e andai. Ricordo che all’incontro si lamentavano per come l'immagine dei cutresi usciva sui giornali”. In queste parole S. tratteggia il teorema della discriminazione dei cutresi a Reggio, già ben presente nelle cronache cittadine a inizio del decennio scorso. Come vedremo, la pm della Dda Beatrice Ronchi ha descritto queste accuse di razzismo come un teorema ad uso e consumo della 'ndrangheta; una tesi sostenuta anche dal collaboratore di giustizia Antonio Valerio; mentre durante il processo Aemilia, lo stesso Pm Marco Mescolini ha fatto a pezzi il 'teorema della discriminazione', dimostrando come fosse basato sul nulla.
Nonostante tutto, questa favola della discriminazione, già fatta a pezzi in tutte le sedi che contano, nei giorni scorsi è tornata a sorpresa e con prepotenza nel dibattito pubblico cittadino.
E' domenica 13 novembre 2022 e siamo nella frazione di Fogliano. A distanza di anni ritroviamo l'imprenditore Salvatore S., lo stesso che inconsapevolmente si incontrò con gli 'ndranghetisti (ma sapeva dei guai giudiziari di Nicolino Sarcone), stavolta in compagnia di politici. Insieme a S. troviamo infatti il candidato sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, e la consigliera comunale Palmina Perri, eletta in Sala Tricolore con la lista “Reggio E'”, oltre ad altri cittadini. Si tratta di un pranzo elettorale, in un luogo pubblico, a sostegno di Antonio Ceraso, che si trova singolarmente in viaggio elettorale a Reggio: infatti a Cutro si va a votare per le amministrative domenica 27 novembre e Ceraso ha ben pensato di tenere a Reggio Emilia un incontro con amici e simpatizzanti presso il ristorante Violella. In questa circostanza, Ceraso ha arringato i suoi spettatori con alcune frasi, riportate dalla Gazzetta di Reggio: “Saremo nei tavoli istituzionali per difendere i cittadini onesti cutresi ai quali sono negati i certificati antimafia, fuori dal circuito lavorativo perché inseriti nelle black list, soprattutto in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Noi siamo altro rispetto a come siamo stati dipinti. Voi siete persone per bene che non meritano di essere bistrattate”.
In sintesi, il candidato sindaco di Cutro propone di mettere sotto osservazione le black list, perché c'è il rischio che vengano inserite delle persone per bene.
Teoria discutibile, innanzitutto perchè delegittima il lavoro delle Prefetture: viene detto che sull'iscrizione o meno di un imprenditore grava un pregiudizio 'etnico'. E ancor più discutibile se pensiamo che ricalca in pieno le argomentazioni messe in campo dagli ndranghetisti per cercare di ripulirsi l'immagine, come ha chiarito la pm Beatrice Ronchi pochi giorni fa nella requisitoria del processo Grimilde.
Ronchi ha identificato in Francesco Grande Aracri l'ideatore di una strategia di comunicazione che puntava a descrivere tutti i cutresi di Reggio Emilia come discriminati in quanto tali. Così si è espressa la Ronchi: “La cosca ha cercato di nascondere sotto le spoglie del cutrese lavoratore immigrato in Emilia qualcosa di ben diverso che altro non è che ‘ndrangheta. Che va, questa sì, discriminata. O meglio: va combattuta, respinta, tenuta a distanza e isolata dalla società civile. L’argomento della discriminazione e della criminalizzazione dei cutresi in quanto tali, e non perché mafiosi, è un inganno”.
Una teoria, quella della discriminazione, che è stata smontata durante il processo Aemilia in diverse occasioni. Il 13 luglio 2017, il teorema fu riproposto dal consigliere comunale Salvatore Scarpino, protagonista in Sala Tricolore prima nei ranghi del Pd e poi in quelli di Mdp. Scarpino, chiamato a deporre dalla difesa di Pasquale Brescia, fu incalzato dal pm Marco Mescolini, che gli chiese di circostanziare episodi concreti di discriminazione a danno di cutresi, fatti provabili e denunciati alle forze dell'ordine: Scarpino seppe elencare solo un racconto di terzi in modo vago e non circostanziato, ovviamente non documentabile né denunciato alle forze dell'ordine. In sostanza, il nulla più assoluto.
Sempre durante il processo Aemilia, la strategia ndranghetista riguardo al teorema della “presunta discriminazione” è stata spiegata, con grande precisione e accuse gravissime (che però, stranamente, non hanno avuto conseguenze), pure dal collaboratore di giustizia Antonio Valerio. A suo giudizio, si trattava di una precisa mossa della ndrangheta per ripulire la propria immagine. Ecco quanto si legge dalle cronache del processo Aemilia: “La presunta discriminazione dei cutresi a Reggio Emilia – riporta un lancio di agenzia ripreso dai siti Reggio Sera e Reggio Report - denunciata nel 2012 da alcuni consiglieri comunali di origine calabrese al prefetto Antonella De Miro (erano Salvatore Scarpino del Pd - ora Mdp -, Antonio Olivo del Pd e l’ingegner Rocco Gualtieri di Forza Italia, accompagnati nella circostanza dal sindaco Graziano Delrio), non sarebbe mai esistita. Il clamore di cui è stata ammantata avrebbe invece fatto parte di un piano per ottenere “consenso popolare” e “movimentare le masse”, con l’obiettivo ultimo di formare un “movimento” per “ripulire”, insieme a quella dei calabresi onesti, soprattutto l’immagine mafiosa delle due famiglie di Nicolino Sarcone, presunto luogotenente in Emilia del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri e Alfonso Diletto, indicato come referente della ‘ndrangheta nella Bassa reggiana”.
Che conclusione trarre da questo lungo excursus?
Le dichiarazioni del candidato sindaco di Cutro riportano il dibattito pubblico indietro di oltre 10 anni. Ceraso può ovviamente dire quello che vuole, ma è obbligatorio rispedire al mittente il teorema discriminazione, che è stato utilizzato dalla 'ndrangheta per i suoi fini e non ha alcun supporto nella realtà. Se Ceraso conosce casi concreti e documentabili di discriminazione, deve andare in Procura, non al ristorante Violella. Se non ne ha le prove, taccia per rispetto dei reggiani.
In quanto a Palmina Perri, è sconcertante che una consigliera comunale si presti, con la sua presenza, a conferire credibilità alle bizzarre esternazioni di Ceraso. Dovrebbe almeno chiedere scusa e prendere le distanze dalla bizzarre teorie del candidato sindaco di Cutro.
Simone Russo, giornalista

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